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VIVERE CON L’ARTE CLASSICA  - L’arte Greca negli ambienti romani 

A partire dal III secolo a.C. le classi agiate dell’antica Roma iniziarono ad appropriarsi della cultura greca assimilandola alla propria.

Studiavano in Grecia e cercavano nei filosofi ellenistici un insegnamento di vita in un processo di assimilazione che includeva anche l’uso di ornare vile e residenze con opere greche.

L’immaginario greco veniva recepito come patrimonio culturale a sé stante, ma con la collocazione dapprima nelle ville e subito dopo gli edifici pubblici, veniva inserito in contesti radicalmente diversi da quelli originari, acquisendo nuovi significati ed esprimendo nuovi messaggi.

L’inserimento in nuovi contesti di opere greche e di copie prodotte in serie portò anche a un mutamento della loro collocazione e funzione. Non essendo contemplate come pure opere d’arte -e dunque non godendo, come in epoca moderna, di un’esposizione museale - rivestivano negli spazi sia privati sia pubblici una funzione del tutto inedita. Nelle ville servivano soprattutto a rievocare le diverse manifestazioni della cultura greca, tanto che i proprietari delle ville denominavano i singoli spazi delle proprie dimore con nomi di istituzioni ambienti greci.

 

 

Per esempio nella villa dei Papiri a Ercolano, lungo una vasca, accanto a molte altre opere viene un gran numero di erme di greci illustri, condottieri, filosofi o poeti, i cui nomi incisi richiamavano alla mente dell’osservatore i diversi ambiti della storia e della cultura greca.

Sorprendentemente, tra le erme si trovavano anche ritratti di scene per i sovrani ellenistici: sembra che gli aristocratici romani ammirassero la potenza dei re e lo sfarzo delle corti, in un’epoca in cui vedevano declinare la loro Res pubblica.

Nella Villa di Sperlonga la residenza comprendeva una profonda grotta naturale che ospitava i celebri gruppi scultori di Scilla che assale la nave di Ulisse e dell’accecamento di Polifemo, il ciclope divoratore di uomini. Gli ospiti del padrone di casa guardavano questi impressionanti e drammatici gruppi scultorei ispirati all’odissea omerica quando, nelle cause già giornata estive, si ristorava nuovo al fresco della grotta, pranzando e bevendo su un’isola artificiale costruita al suo interno.

Se nella tarda età repubblicana l’appropriazione dell’arte greca era ancora determinata dall’interesse dei ceti elevati di Roma e di altre città romane con la politica culturale di Augusto divenne parte di un programma pubblico.

Lo stesso imperatore offriva i modelli di riferimento promuovendo l’elezione dei nuovi templiteatriportici ed edifici pubblici facendoli dotare di un corredo di statue.

Diversamente da quanto accade nella concezione moderna dell’arte, sembra che in questo processo la differenza tra originale e copia non avesse alcun ruolo, un fatto che si lega presumibilmente anche ai nuovi contesti di collocazione e alla nuova funzione delle copie.

Chi visitava una grande città romana in età imperiale vedeva copie di statue greche in quasi tutti gli edifici pubblici templi, basiliche, teatri, portici, terme, ninfei.

Queste statue avevano la funzione di dimostrare la devozione nei confronti delle varie divinità, celebrare grandi condottieri o imperatori.

So-called Ptolemy Alexander or Ptolemy Epiphanes Portrait bust of an  unidentified Hellenistic ruler, perhaps Nicomede… | Scultura antica greca,  Archeologia, Museo  

 

Ad esempio la statua dell’imperatore Settimio severo di fronte a una statua di Marte seduto, il Dio della guerra-una scelta tesa a celebrare il felice regno di questo imperatore, che con le sue vittorie aveva portato la pace.

Nelle terme romane erano spesso presenti statue di Asclepio/Esculapio, il Dio della medicina, divinità tra le più diffuse nelle terme, poiché molti avventori speravano di trarre dei bagni un giovamento dei propri mali.

Le statue nelle terme stimolavano anche desideri e bisogni di tutt’altro genere. In quegli ambienti era frequente trovare statue raffiguranti Veneri, le grazie, le Ninfe e altre divinità femminili ammirando le quali gli avventori potevano lasciarsi andare e sognarle in carne ossa.

Lo stesso valeva negli ambienti privati. Quando Cicerone vuole acquistare delle statue per il suo “museion” di una sua villa, andò in cerca di quelle che meglio si prestavano a questo specifico ambiente destinato alla lettura, alla riflessione o alle conversazioni colte.

 

Anche in altri ambiti si potevano usare statue celebri lasciando che comunicassero il loro messaggio come fossero segni convenzionali. L’immagine di Asclepio poteva ornare, per esempio, una cassetta di medicinali, mentre la figura di Marsia appeso, con lo scita che affila la lama per scorticarlo, poteva certo decorare il manico di un coltello, a simboleggiare l’atto stesso di tagliare.

Attraverso le proprie copie gli scultori copisti più ambiziosi tentarono persino di ingaggiare una sorta di competizione con gli originali. Così la testa in bronzo del Doriforo di Policleto proveniente dalla villa dei papiri di Ercolano non si distingue solo per l’alta qualità dell’esecuzione ma anche per la resa dettagliata delle ciocche, che non si trova nessun altra copia.

Le classi dirigenti di età imperiale imparavano fin dalla giovinezza non solo a leggere i poeti o gli autori greci più celebri ma anche ad affrontare i problemi esistenziali con l’aiuto della filosofia greca.

Le energie intellettuali erano investite nella conservazione e nella ripetizione di modelli ereditati dalla civiltà greca: una cultura ispirata a concetti diametralmente opposti alle nostre idee di progresso, dinamismo e innovazione, oggi difficile da immaginare.

Paul Zanker, Copies in Context, Prada Foundation, 2015. Milano

 

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